Camminavo. E ho visto luce sul volto di chi incontravo, e ho visto ombre nei loro sguardi. Ho intravisto il loro soffrire.
Ho guardato alle persone e ai loro sentimenti. Ho osservato i loro passi, veloci o lenti, la loro pelle segnata o coperta di ciò che hanno conosciuto. Ho sospeso il loro e il mio tempo per attimi sparsi. Nell’ombra della quotidianità ho visto celarsi l’avidità dei nostri demoni interiori. La faccia della paura affiorare violenta su volti di umani che hanno imparato a diffidare dei propri simili.
Tra noi e sopra di noi vivono persone che, per i propri scopi e profitti, si nutrono delle forze vitali altrui. Componiamo una società abbandonata alla forza travolgente del consumo, schiava della pretesa di soddisfare egoisticamente ogni infimo desiderio. Siamo continuamente indotti alla brama di possesso e di potere, indifferenti al malessere collettivo, inconsapevoli di quello più intimamente nostro.
È un morbo dell’anima quello che tende ad appropriarsi di beni ed energie in maniera eccessiva, a danno di altri esseri, umani e non. Lo è nella cultura indios, dove Wetiko ne è la mostruosa personificazione. Wetiko è la psicosi che si nutre dell’anima di chi ne è affetto, il quale Wetiko diventa. È uno spirito malvagio che tende a terrorizzare gli altri fino ad appropriarsene e a nutrirsene fisicamente.
Il “mostro cannibale” del mito può sembrare una caricatura pedagogica d’altri tempi, ma tutt’altro che fantastico si svela se mettiamo a fuoco le tendenze sociali e politiche del XXI secolo. Wetiko è il nome dato a questa “malattia” dagli amerindi (vittime di secoli di stermini ancora tenuti nell’ombra dalla storia – scritta dai predatori), ma se guardiamo oltre le civiltà native americane: Quanti “caporali” spremono la forza lavoro di altri umani? Quanti spolpano le risorse naturali del pianeta senza permetterne il rinnovamento? Quante guerre vengono alimentate col sangue di civili impotenti per la fame di potere di pochi tiranni? E poi il ricorso al terrore, mezzo di controllo sulle masse, non è che l’ultimo dei tanti sintomi del contagio epidemico e inconsapevole di questa “malattia della disumanità” che Jack Forbes chiamò egofrenia maligna, o wetiko (J. D. Forbes, “Columbus and other Cannibals”, 1992).
L’ombra di Wetiko è una serie di fotografie di strada scattate nella spontanea immediatezza del riconoscersi con l’inquietudine di passanti sconosciuti. Comprenderla è la necessità che ha spinto il fotografo a fermarla in istantanee, comprendersi è l’obiettivo della sua speculazione.
Dall’oscurità può emergere chiaro uno sguardo, un gesto, uno scenario drammatico. Dal disagio dell’altro spunta luminosa l’esigenza di trovarsi umani, ritrovarsi autentici, offrirsi simili.
2013-2015 © Giancarlo Colloca